Il concetto di sostenibilità pervade oramai il nostro linguaggio.

Letteralmente esprime “la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri a causa dell’esaurimento delle fonti naturali” (Treccani).

Introdotto nel corso della prima conferenza Onu sull’ambiente nel 1972, la sostenibilità è divenuta dalla metà degli anni ’90 il paradigma dello sviluppo stesso.

Oggi l’ambiente non è più inteso però solo nella sua accezione naturalistica, ma anche come sistema sociale nei sui rapporti con quello economico, per cui la sostenibilità è sinonimo di efficiente funzionamento di un modello, e di efficace assolvimento della sua funzione in relazione al grado di benessere sociale e di sviluppo economico che deve garantire.

La capacità di rendere giustizia, in base ai principi della giusta durata del processo e della certezza del diritto si confronta con il problema della deflazione del contenzioso e della rapida definizione dei conflitti.

E in questa prospettiva l’organizzazione della funzione giurisdizionale richiede di essere ripensata con una strategia di azioni interconnesse, tra pubblico e privato, per meglio garantire la stabilità del “sistema giustizia” rispetto al mercato di utenti cittadini e imprese.

In questa ottica la risoluzione alternativa dei conflitti e mediazione ha una relazione diretta con la sostenibilità della giustizia, civile principalmente.

Ed infatti gli organismi di mediazione prestano un servizio essenziale per la comunità sia nello svolgimento di una funzione “sussidiaria” dello Stato nella gestione del contenzioso stragiudiziale, sia nel diffondere la cultura della responsabilità individuale, a cercare una soluzione del proprio problema, in base a criteri di convenienza immediata e di previsione delle conseguenze che una mancata conciliazione genera sul piano giudiziario.

Del resto è il principio della responsabilità individuale la chiave di volta, ragione per la quale è ampiamente declinato nel diritto sostanziale e nella procedura civile: il principio di impulso di parte del processo civile, l’onere della prova, il costo della soccombenza, i termini decadenziali e prescrizionali anche nella procedura giudiziaria, la casistica dell’onere.

Anche rispetto alla mediazione con una storica sentenza le Sezioni Unite della Cassazione sent. 19596/2020 hanno sancito un principio di diritto, in tema di onere dell’avvio della mediazione in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, ribadendo il valore della responsabilità di chi avvia un procedimento di accertamento del diritto.

È noto che l’art. 5 D.Lgs. 28/2010 prevede l’obbligo di accedere alla mediazione nel caso in cui l’opponente si sia attivato per contrastare le ragioni dell’opposto, senza specificare su quale parte dei due soggetti gravi l’onere di esperimento del tentativo obbligatorio.

In passato la Corte di Cassazione si era espressa (sent. 24629/2015 Sez. III Civile) ponendo l’onere a carico dell’opponente, ma su questo punto il dibattito giurisprudenziale aveva ricevuto parere non unanime da parte degli uffici giudiziari, con una tendenza a porre l’onere di promozione del procedimento di mediazione a carico del creditore opposto.

Con la sentenza n. 19596/2020 i giudici della Suprema Corte hanno finalmente posto fine al dibattito giurisprudenziale, sancendo il principio secondo cui grava sul creditore opposto l’onere di attivare il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione.

A fondamento dell’orientamento delle SSUU si richiama l’art.4, comma 2, del D. Lgs. 28/2010 che fissa l’obbligo di specificare nella domanda di mediazione le ragioni della pretesa, rendendo pacifico che debba essere l’attore a provvedervi, essendo lui ad assumere l’iniziativa processuale.

In altri termini la Corte spiega che bisogna porre attenzione sulla natura sostanziale della parte opposta (creditore), che mantiene l’interesse ad azionare il diritto in sede giudiziale.

Ad ulteriore riprova la Corte richiama l’art. 5, comma 1-bis del decreto legislativo, che pone l’onere di esperire il tentativo di mediazione a carico di “chi intende esercitare in giudizio un’azione “.

Il principio di diritto sarà evidentemente esteso a tutti procedimenti monitori. Resta chiarissimo che è solo la cultura della partecipazione a trovare soluzioni e la consapevolezza della propria responsabilità individuale, nella elaborazione in schemi riconosciuti dallo Stato, interconnessi tra pubblico e privato, che può veicolare l’efficienza del “Sistema Giustizia” e la sua sostenibilità ad ogni livello.

Sabrina Contino – Resp. Scientifico degli Organismi di Mediazione – articolo presente sulla rivista “La Mediazione”