Il potere conciliativo del Giudice di Pace 

La capacità di comporre dissidi ha una sua funzione intrinseca, consistente nella creazione di una soluzione pratica capace di armonizzare situazioni di conflitto, sul presupposto della convenienza che le parti riconoscono in modo volontario all’accordo che concludono.

Tuttavia, nella prevalente percezione dei rapporti giuridici, anche a causa dell’estremo tecnicismo delle norme stesse, le parti in conflitto sono più spesso abituate a considerarsi soggetti passivi, sottoposti alla autorità pubblica, un soggetto tendenzialmente impositore.

La novità che ha inciso in modo determinante anche sulla mentalità degli utenti della giustizia è stata l’introduzione, in Italia, con il Decr. Lsgl. 28/2010 in ottemperanza della Dir. Ue n. 2008/52, della mediazione obbligatoria in materia civile.

Mentre, nell’alveo della tradizionale procedura civile, l’unica ipotesi di conciliazione non giudiziale è quella dettata dall’art. 322 del cpc a proposito delle competenze del Giudice di Pace.

Il Giudice di Pace può effettuare un tentativo di conciliazione tra parti che non sono in giudizio, su tutte le materie, indipendentemente dal valore, con due soli limiti: le controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili (diritti della persona, tasse e tributi) e controversie per le quali sono previsti appositi organi per la composizione stragiudiziale della lite (ad esempio in materia di lavoro). Ogni cittadino può rivolgersi senza l’assistenza di un avvocato al Giudice di Pace al fine di prevenire una lite giudiziaria. 

Il Giudice di Pace provvede a convocare le parti all’udienza da lui fissata. Se la parte chiamata non si presenta o se il tentativo di conciliazione non riesce, il magistrato redige un verbale negativo di conciliazione e le parti sono libere di agire in giudizio. Se invece il tentativo di conciliazione riesce, il Giudice di Pace redige un verbale positivo di accordo che fissa i termini, i tempi e le condizioni dell’accordo stesso, con un vantaggio fiscale, corrispondente all’esenzione dell’imposta di registro fino a €. 51.645,69, per i verbali di conciliazione.

Il verbale in parola, come dispone il secondo comma dell’art. 322 cpc, costituisce titolo esecutivo se la controversia rientra nella competenza giudiziale del Giudice di Pace, mentre come dispone l’ultimo comma dello stesso articolo, il verbale ha valore di mera scrittura privata riconosciuta, qualora la conciliazione si riferisca a materie o valore non rientranti nella competenza giurisdizionale dello stesso giudice. 

Gli effetti delle due ipotesi sono notevolmente diversi, perché in caso di titolo esecutivo, ciascuna parte può azionare la procedura di esecuzione forzata contro l’inadempiente mentre, se il verbale ha valore di scrittura privata riconosciuta, la parte che ne pretende l’adempimento potrà soltanto, qualora la controparte sia inadempiente, agire con un giudizio di cognizione per ottenere la condanna all’adempimento secondo quanto previsto nel verbale, oltre all’eventuale risarcimento del danno.

La conciliazione del Giudice di Pace è l’unica, in materia civile, svolta al di fuori di un procedimento giudiziario civile ad opera di un organo giurisdizionale. In tutti gli altri casi, sia il Giudice di Pace sia il tribunale possono tentare la conciliazione, ma solo relativamente a procedimenti giurisdizionali già iniziati.

Al di fuori di questa unica ipotesi si deve parlare di mediazione civile, intendendo un procedimento in cui il soggetto che tenta la composizione dell’eventuale lite non è un giudice ma un soggetto terzo, che ha come fine istituzionale, quello di tentare la composizione amichevole.

Accanto a questo tipo di mediazione civile ci sono anche altri tipi di mediazione previste dall’ordinamento: 

  • la conciliazione tributaria introdotta dall’articolo 44 del Decr. Lsgl. 546/92;
  • la conciliazione in materia di lavoro regolata dagli artt. 410 e ssgg del cpc , dall’art. 11 del Decr. Lgsl.124/2004 e quelle, in materia di lavoro previste da contratti o accordi sindacali;
  • la conciliazione agraria disciplinata all’art. 11 Decr. Lgsl. 150 /2011;
  • la mediazione familiare prevista dal già richiamato Decr. Lgsl 28/2010.

Questo ventaglio di strumenti conciliativi è la prova di una specifica scelta legislativa diretta, dapprima a spostare la risoluzione delle controversie dallo stato ai privati e, di conseguenza, a creare una tendenza culturale volta alla responsabilizzazione della società civile, sulla base del principio per cui  anche la fase di crisi dei rapporti, non più valutata come patologica, è ricompresa nella gamma degli eventi prospettabili nelle relazioni umane.

Sabrina Contino 

Responsabile scientifico per la formazione  

 

Estratto dell’articolo apparso sulla rivista “La Mediazione”